giovedì 29 settembre 2011

Senza Catene. A Casa Mia al convegno Nazionale StopOPG


Il Comitato “A casa mia” ha partecipato al convegno nazionale “Senza catene. L'orrore degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ”organizzato dal Comitato Sardo Stop OPG che si è tenuto a Cagliari il 16 e 17 settembre.

Nelle due giornate del convegno, si è discusso della condizione in cui versano OPG. Questa conidzione, che da anni viene denunciata da associazioni, operatori psichiatrici e della giustizia, è stata recentemente portata alla luce dal lavoro della Commissione d'inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale del Senato (vedi il documentario della commissione). All'incontro, al quale partecipavano tra gli altri il vicepresidente della Commissione d'inchiesta, l'on. Michele Saccomanno (Pdl) e l'on. Donatella Poretti (PD), si è discusso dei modi per raggiungere il superamento degli OPG  e della violazione dei diritti umani che viene esercitata in questi luoghi.
È stata anche un'occasione per portare alla conoscenza di molte persone delle ragioni del nostro Comitato che vuole difendere non solo il diritto ad abitare ma anche proporre politiche sanitarie e sociali che sostengano la vita autonoma delle persone sofferenti, anziane, disabili.
Ieri una è stata approvata una risoluzione del senato sugli OPG, che specifica  come da perseguire "il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, le cui condizioni offendono la coscienza civile del Paese" e  richiede "un più frequente ed omogeneo ricorso alle misure alternative all'internamento".
SI tratta di una nuova tappa che però, come dice il comitato Stop OPG non significa aver raggiunto il traguardo.

Attualmente sono 33 i cittadini residenti in Sardegna che adesso si trovano in OPG e per i quali occorre pensare soluzioni di abilitazione sociale che non ripropongano nuove forme di emarginazione.
(dp)

venerdì 5 agosto 2011

Sanità mentale allo sbando con il nuovo dipartimento

 da "La Nuova Sardegna" del 5 agosto 2011

di Sergio Scavio *

Ripetere giova, recita il motto. Ripetere giova e a volte scoraggia, aggiungerei. Scoraggia se, dopo avere posto l’accento sullo smantellamento di un intero settore, quello della Salute Mentale, si ricevono poche e granitiche risposte, tutte incapaci di offrire soddisfazione o, almeno, di capire il senso reale delle scelte. Occorre rimettere in favore di luce la faccenda, comunque, dato la preoccupante immobilità che l’Asl di Sassari mostra sul tema. Circa 6 mesi fa presentai una mozione sul tema, firmata da altri colleghi della maggioranza e condivisa in aula dal Consiglio intero.

Si denunciava lo spostamento del Dipartimento di Salute Mentale dalla palazzina H dell’ex manicomio di Rizzeddu, luogo discreto, adeguato e simbolicamente rilevante, tra l’altro sede dell’Archivio Storico dell’Ospedale Psichiatrico e di laboratori riabilitativi, in favore di uno dei servizi afferenti al Dipartimento di Prevenzione. Tale trasferimento ha portato disservizi e malumori, degli utenti e delle loro famiglie. Si aggiungeva, nella mozione, che il personale era scarso di numero e che il servizio offerto disattendeva completamente il Piano Sanitario Regionale prodotto dall’ex Assessore Dirindin e, nello specifico, da Peppe Dell’Acqua, direttore del Dsm di Trieste, modello riconosciuto dall’O rganizzazione Mondiale della Sanità.

Il disegno è stato cancellato dalla nuova gestione dell’Asl di Sassari, che ha evitato con cura di raggiungere almeno uno degli obiettivi prefissati dal Piano Regionale.

Il neonato Dipartimento di Salute Mentale, evidentemente orientato ad una medicalizzazione del servizio, è stato depauperato di un gran numero di operatori, da 233 all’allarmante numero di 125. Un ulteriore esempio è dato dagli educatori che lavorano presso i Centri di Salute Mentale di Sassari (strutture che nel territorio passano da una previsione di apertura 24 ore su 24 ad una di 12 ore in 3 giorni alla settimana e per 6 ore nei restanti 3 giorni) operatori precari da tempo che rischiano seriamente di non vedersi rinnovato il contratto di lavoro, che scadrà ad ottobre. Dieci posti di lavoro che rischiano di sparire, peggiorando la qualità della vita degli utenti del Csm, che con loro portano avanti progetti riabilitativi finalizzati al recupero del loro diritto di cittadinanza. Il rapporto d’interazione tra associazioni di utenti e loro familiari con i Servizi di Salute Mentale, auspicati dal Piano Regionale, si è involuto in uno scontro che sfociò, mesi fa, in una protesta pubblica e oggi in una relazione inesistente.

Era prevista una “riqualificazione degli spazi, luoghi e arredi dove le persone con disturbo mentale vivono e vengono curate”: è avvenuto a Cagliari e Quartu, ad Olbia come a Nuoro, di fatto a Sassari non è si è riqualificato un bel nulla. Si è deciso di non investire sul sistema della salute mentale, dunque, tagliando i fondi ordinari e non devolvendo un “tesoretto” destinato, tra le altre cose, ad attivazione di progetti terapeutici, riabilitazione ed inclusione sociale.

Alcuni di questi obiettivi erano stati raggiunti con la gestione Dirindin ed altri ci si apprestava a raggiungere sulla base di quanto stabilito dall’Atto Aziendale della stessa ASL; ora si è tornati indietro, ridimensionando orari, attività e organici. Non si è raggiunta, in sostanza, la concreta istituzione del Dipartimento di Salute Mentale (da mesi privo di direzione).

Cosa significa tutto ciò? Significa soffocare un miglioramento del servizio che era in atto da qualche anno, significa svilire il ruolo di professionisti che lavorano in eterna emergenza, significa non offrire neppure i servizi sanitari minimi agli utenti, vuol dire convertire il rapporto umano in rapporto farmacologico, quando va bene. Significa, in sintesi, ricostituire in forma privata i manicomi, costringendo molte persone al silenzio della propria casa, senza alcun sostegno psicologico, senza nessun rapporto sociale, avviliti dai farmaci. Dentro la vergogna e fuori dalla dignità.


* consigliere comunale del gruppo “Ora sì” a Sassari

mercoledì 3 agosto 2011

La commissione poltiche sociali del comune di Sassari e l'assessore incontrano il Comitato


(foto sassarinotizie.com)
 Si è svolta ieri mattina 2 agosto, alle 11.30, a Palazzo Ducale, la seduta della V Commissione Consiliare del Comune di Sassari,competente anche in materia di problemi sociali. L'ordine del giorno era relativo alla situazione politica e sanitaria nell'ambito delle malattie mentali. Oltre i commissari hanno partecipato ai lavori, diretti dal Presidente della Commissione Sergio Scavio, l'assessore alle Politiche Sociali Michele Poddighe, il responsabile del CSM (Centro di Salute Mentale) di Sassari dott. Antonello Pittalis, e Gisella Trincas per il comitato "A Casa mia". Il comitato era presente con la partecipazione di quindici membri auditori, in qualità di cittadini interessati alla questione. Sia l'assessore che i consiglieri comunali presenti sostengono l'azione del Comitato "A CASA MIA".

vedi l'articolo di Valentina Guido su Sassari Notizie

Sardegna 24 del 3 agosto l'articolo di Mariella Careddu Il Comune sta con "A Casa mia"

martedì 26 luglio 2011

Nove persone seguite dai servizi di salute mentale sgomberate dalle loro case. Le prime vittime di un’inchiesta che suscita perplessità e proteste (La Nuova Sardegna, 20 luglio 2011)

“Ma cosa ho fatto? – continua a chiedere angosciato Roberto - Perché mi hanno portato qui?” Roberto è una delle nove persone che i servizi di  salute mentale seguono da anni e che, mercoledì scorso, hanno subito lo sgombero delle loro abitazioni e sono stati trasferiti, loro malgrado, in strutture chiuse nell’area dell’ex manicomio di  Rizzeddu, vittime prime e certe di un’inchiesta giudiziaria che sta suscitando in città perplessità e proteste. L’indagine ruota intorno a due appartamenti il cui contratto di affitto è stato stipulato, oltre un anno fa, dalle persone che erano andate ad abitarvi, le quali soffrono di disturbi mentali e seguono un percorso di riabilitazione di cui fa parte anche l’abitare in una casa propria e pagare, con propri soldi, le spese quotidiane e l’assistenza di una cooperativa. Il tutto in accordo con il Centro di salute mentale, con i familiari, gli amministratori di sostegno e il giudice tutelare. L’indagine ipotizza che questi appartamenti fossero strutture sanitarie abusive, e questo sulla base di un errore ( la cooperativa non è titolare del contratto di affitto, come sembra dall’ordine di sequestro ) e di un pre-giudizio. Si desume infatti che gli appartamenti siano strutture dal puro e semplice fatto che ci vivono persone in trattamento psichiatrico, che sono automaticamente “pazienti” di una “struttura di ricovero”, nella quale il personale “addetto al controllo” dovrebbe “avere il titolo di infermiere professionale”. Si ignora che si può non essere malati di mente per sempre e non allo stesso modo, e che da molto tempo esistono modi diversi dal ricovero per prendersi cura delle persone con disturbi mentali.
Eppure non da oggi funzionano, in Italia ma non solo, in salute mentale come nell’assistenza agli anziani e alle persone disabili, le “convivenze assistite”,  in cui il servizio pubblico agisce da promotore e garante di progetti di vita autonoma con il sostegno di operatori. Queste convivenze tuttavia non hanno vita facile, in salute mentale in particolare: una parte degli psichiatri stenta infatti a uscire dall’orizzonte del manicomio e non è capace di costruire, e talvolta ostacola, percorsi di uscita dalla dipendenza, dall’invalidità, dall’esclusione. Questa lotta tra visioni diverse del disturbo mentale, della cura e dell’organizzazione dei servizi si svolge da più di quarant’anni in Italia, in Europa e in gran parte dei paesi democratici. Si svolge anche a Sassari, e lo sgombero di qualche giorno fa ne è in fondo un episodio, peraltro emblematico: persone che avevano iniziato un percorso di autonomia e di inclusione, e che si mantenevano con proprie risorse, sono state riportate nell’area dell’ex manicomio, in strutture che ne riproducono i caratteri e che gravano sui soldi pubblici. Certo, è un’inchieste giudiziaria che ha provocato tutto questo ma il mondo della psichiatria locale non è innocente. C’è un arretramento forte, nella nostra città e in regione, delle politiche sociali e di salute mentale: il lavoro dei servizi territoriali è impoverito e contrastato, riprendono forza la contenzione fisica dei ricoverati e l’abuso di farmaci, si continua a destinare ingenti risorse per ricoveri senza speranza nelle cliniche private e in piccoli contenitori assistenziali, in barba al Piano Sanitario Regionale tutt’ora in vigore. Per questo è importante partire dallo sgombero dell’altro giorno  per ridiscutere la questione dell’abitare delle persone con sofferenza mentale, delle persone anziane e con disabilità, per ridiscutere sui costi economici e sociali dell’istituzionalizzazione, e sugli spazi che invece sono possibili di vita, socialità, dignità, diritti.

(Maria Grazia Giannichedda)

sabato 23 luglio 2011

Gli indifferenti. Antonio Gramsci (11 febbraio 1917)

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

(Federico Zappino)

giovedì 21 luglio 2011

Diritto di cronaca, dovere di verità

Il 19 luglio, su La Nuova Sardegna, appare il seguente titolo: “Case famiglie abusive a Sassari, l'inchiesta arriva alla ASL”. Sembrerebbe lecito dunque chiedersi se non si stia sbattendo il mostro in prima pagina. Nell'articolo si legge di una “svolta nelle indagini”, che riguardano ora anche 2 psichiatri e 2 operatori sociali del Centro di Salute Mentale della ASL, oltre alla presidente e ad alcune operatrici della cooperativa promotrice nel territorio sassarese di esperienze e percorsi di vita autonoma (quelli che l’articolo definisce erroneamente “case famiglia”). 
 L’articolo – riguardante unicamente le indagini giudiziarie su presunti reati ancora da accertare, compiuti ai danni di soggetti “deboli” e della Pubblica Amministrazione – omette un'altra notizia, ossia che venerdì scorso, nell’aula “Eleonora d’Arborea” del Rettorato dell’Università di Sassari, si sia svolto un dibattito pubblico sulla necessità di intraprendere percorsi di attuazione della riforma psichiatrica in Sardegna, che includano anche le esperienze dell’abitare assistito, che in molte regioni d’Italia sono ormai una consuetudine, mentre qui a Sassari sono finite nell’occhio del ciclone. Al dibattito – nel corso del quale si è presentato il Comitato A CASA MIA – hanno partecipato cittadini, utenti dei servizi, docenti universitari, ricercatori, studenti, associazioni, medici e operatori che lavorano nell’ambito della tutela della salute mentale: l’aula era gremita, ma di questo incontro si è dato poco conto. È più stuzzicante, sia per il cronista che per il lettore, parlare di “lesioni” e “maltrattamenti”: e allora sì, nominare persone e cose.
 Il dovere più vincolante del giornalista, caposaldo del diritto di cronaca, è (o dovrebbe essere) il dovere di verità, il quale è considerato un “obbligo inderogabile” dalla Carta dei Doveri. Un'informazione che occulta o distorce la realtà dei fatti, invece, impedisce ai lettori e alle lettrici un consapevole esercizio della cittadinanza. Esattamente come lo impedisce a chi decide - in autonomia ma non in solitudine – di affermare la propria dignità di abitante di questa Terra, e perchè no, di una (di questa) casa.
 Nove persone sono state private di questo diritto e hanno subito lo sgombero delle loro abitazioni, per essere trasferite nelle strutture all'interno dell'ex manicomio di Rizzeddu contro la loro volontà, vittime di un'inchiesta che desta sgomento e indignazione e che riporta l'urgenza di incalzare politiche sanitarie e sociali che sostengano la vita autonoma delle persone sofferenti.
(Sara Stangoni)