martedì 26 luglio 2011

Nove persone seguite dai servizi di salute mentale sgomberate dalle loro case. Le prime vittime di un’inchiesta che suscita perplessità e proteste (La Nuova Sardegna, 20 luglio 2011)

“Ma cosa ho fatto? – continua a chiedere angosciato Roberto - Perché mi hanno portato qui?” Roberto è una delle nove persone che i servizi di  salute mentale seguono da anni e che, mercoledì scorso, hanno subito lo sgombero delle loro abitazioni e sono stati trasferiti, loro malgrado, in strutture chiuse nell’area dell’ex manicomio di  Rizzeddu, vittime prime e certe di un’inchiesta giudiziaria che sta suscitando in città perplessità e proteste. L’indagine ruota intorno a due appartamenti il cui contratto di affitto è stato stipulato, oltre un anno fa, dalle persone che erano andate ad abitarvi, le quali soffrono di disturbi mentali e seguono un percorso di riabilitazione di cui fa parte anche l’abitare in una casa propria e pagare, con propri soldi, le spese quotidiane e l’assistenza di una cooperativa. Il tutto in accordo con il Centro di salute mentale, con i familiari, gli amministratori di sostegno e il giudice tutelare. L’indagine ipotizza che questi appartamenti fossero strutture sanitarie abusive, e questo sulla base di un errore ( la cooperativa non è titolare del contratto di affitto, come sembra dall’ordine di sequestro ) e di un pre-giudizio. Si desume infatti che gli appartamenti siano strutture dal puro e semplice fatto che ci vivono persone in trattamento psichiatrico, che sono automaticamente “pazienti” di una “struttura di ricovero”, nella quale il personale “addetto al controllo” dovrebbe “avere il titolo di infermiere professionale”. Si ignora che si può non essere malati di mente per sempre e non allo stesso modo, e che da molto tempo esistono modi diversi dal ricovero per prendersi cura delle persone con disturbi mentali.
Eppure non da oggi funzionano, in Italia ma non solo, in salute mentale come nell’assistenza agli anziani e alle persone disabili, le “convivenze assistite”,  in cui il servizio pubblico agisce da promotore e garante di progetti di vita autonoma con il sostegno di operatori. Queste convivenze tuttavia non hanno vita facile, in salute mentale in particolare: una parte degli psichiatri stenta infatti a uscire dall’orizzonte del manicomio e non è capace di costruire, e talvolta ostacola, percorsi di uscita dalla dipendenza, dall’invalidità, dall’esclusione. Questa lotta tra visioni diverse del disturbo mentale, della cura e dell’organizzazione dei servizi si svolge da più di quarant’anni in Italia, in Europa e in gran parte dei paesi democratici. Si svolge anche a Sassari, e lo sgombero di qualche giorno fa ne è in fondo un episodio, peraltro emblematico: persone che avevano iniziato un percorso di autonomia e di inclusione, e che si mantenevano con proprie risorse, sono state riportate nell’area dell’ex manicomio, in strutture che ne riproducono i caratteri e che gravano sui soldi pubblici. Certo, è un’inchieste giudiziaria che ha provocato tutto questo ma il mondo della psichiatria locale non è innocente. C’è un arretramento forte, nella nostra città e in regione, delle politiche sociali e di salute mentale: il lavoro dei servizi territoriali è impoverito e contrastato, riprendono forza la contenzione fisica dei ricoverati e l’abuso di farmaci, si continua a destinare ingenti risorse per ricoveri senza speranza nelle cliniche private e in piccoli contenitori assistenziali, in barba al Piano Sanitario Regionale tutt’ora in vigore. Per questo è importante partire dallo sgombero dell’altro giorno  per ridiscutere la questione dell’abitare delle persone con sofferenza mentale, delle persone anziane e con disabilità, per ridiscutere sui costi economici e sociali dell’istituzionalizzazione, e sugli spazi che invece sono possibili di vita, socialità, dignità, diritti.

(Maria Grazia Giannichedda)

sabato 23 luglio 2011

Gli indifferenti. Antonio Gramsci (11 febbraio 1917)

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

(Federico Zappino)

giovedì 21 luglio 2011

Diritto di cronaca, dovere di verità

Il 19 luglio, su La Nuova Sardegna, appare il seguente titolo: “Case famiglie abusive a Sassari, l'inchiesta arriva alla ASL”. Sembrerebbe lecito dunque chiedersi se non si stia sbattendo il mostro in prima pagina. Nell'articolo si legge di una “svolta nelle indagini”, che riguardano ora anche 2 psichiatri e 2 operatori sociali del Centro di Salute Mentale della ASL, oltre alla presidente e ad alcune operatrici della cooperativa promotrice nel territorio sassarese di esperienze e percorsi di vita autonoma (quelli che l’articolo definisce erroneamente “case famiglia”). 
 L’articolo – riguardante unicamente le indagini giudiziarie su presunti reati ancora da accertare, compiuti ai danni di soggetti “deboli” e della Pubblica Amministrazione – omette un'altra notizia, ossia che venerdì scorso, nell’aula “Eleonora d’Arborea” del Rettorato dell’Università di Sassari, si sia svolto un dibattito pubblico sulla necessità di intraprendere percorsi di attuazione della riforma psichiatrica in Sardegna, che includano anche le esperienze dell’abitare assistito, che in molte regioni d’Italia sono ormai una consuetudine, mentre qui a Sassari sono finite nell’occhio del ciclone. Al dibattito – nel corso del quale si è presentato il Comitato A CASA MIA – hanno partecipato cittadini, utenti dei servizi, docenti universitari, ricercatori, studenti, associazioni, medici e operatori che lavorano nell’ambito della tutela della salute mentale: l’aula era gremita, ma di questo incontro si è dato poco conto. È più stuzzicante, sia per il cronista che per il lettore, parlare di “lesioni” e “maltrattamenti”: e allora sì, nominare persone e cose.
 Il dovere più vincolante del giornalista, caposaldo del diritto di cronaca, è (o dovrebbe essere) il dovere di verità, il quale è considerato un “obbligo inderogabile” dalla Carta dei Doveri. Un'informazione che occulta o distorce la realtà dei fatti, invece, impedisce ai lettori e alle lettrici un consapevole esercizio della cittadinanza. Esattamente come lo impedisce a chi decide - in autonomia ma non in solitudine – di affermare la propria dignità di abitante di questa Terra, e perchè no, di una (di questa) casa.
 Nove persone sono state private di questo diritto e hanno subito lo sgombero delle loro abitazioni, per essere trasferite nelle strutture all'interno dell'ex manicomio di Rizzeddu contro la loro volontà, vittime di un'inchiesta che desta sgomento e indignazione e che riporta l'urgenza di incalzare politiche sanitarie e sociali che sostengano la vita autonoma delle persone sofferenti.
(Sara Stangoni)

mercoledì 20 luglio 2011

Rassegna Stampa

Nasce il Comitato "A Casa Mia" dopo lo "sfratto" di 9 disabili mentali (SassariNotizie 14.07.2011)

Nas "chiudono" appartamento in cui vivevano 9 disabili mentali. A Sassari nasce il Comitato A Casa Mia (Il Minuto 15.07.2011)

"A Casa Mia", un comitato spontaneo per la riforma psichiatrica (SassariNotizie 15.07.2011)

Sassari: nasce un comitato per il diritto alla casa per malati psichici (L'Unione Sarda 15.07.2011)

A Casa Mia (manifesto sardo 16.07.2011)

Nasce il Comitato A Casa Mia (Sardies 18.07.2011)

Nasce il Comitato A CASA MIA (Tg Videolina del 15.07.2011)

http://www.videolina.it/view/servizi/17635.html

VOLEVANO VIVERE UNA VITA NORMALE, MA LA PROCURA DI SASSARI HA DETTO CHE E' REATO!

COMUNICATO STAMPA DELL'ASSOCIAZIONE SARDA PER L'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA PSICHIATRICA

Ieri mattina alle 8 e 30 i carabinieri del N.A.S. hanno chiuso due case private a Sassari dove abitano dei cittadini che vivono l'esperienza della sofferenza mentale e che avevano deciso di intraprendere una convivenza, a loro spese, chiamando a sostenerli, nella loro quotidianità di vita, gli operatori di  una cooperativa sociale.
 Questa convivenza, per la Procura di Sassari, non è possibile in quanto persone con sofferenza mentale, secondo il parere del Magistrato, dovrebbero stare in strutture sanitarie regolarmente autorizzate e in possesso dei requisiti di legge.
 Ci domandiamo perchè!
 Perchè negare ai 4 uomini del primo appartamento e alle 5 donne del secondo appartamento di abitare insieme in una sperimentazione di vita normale come qualsiasi altro cittadino. Organizzando la loro vita nella normalità dell'esistenza, scegliendo loro le persone di fiducia da cui farsi aiutare. Curando la loro casa e le loro cose fuori da qualunque circuito pubblico assistenziale. Andando dal dottore quando serve come fanno tutti i cittadini e le cittadine.
 In quante delle nostre case abitano una o più persone? Ci sono famiglie in cui tre componenti e oltre vivono la condizione di sofferenza mentale. E ricevono assistenza personalizzata per il tempo che le istituzioni (ASL o Comuni) possono garantire, in base alle risorse disponibili. Oppure con l'assistenza personalizzata garantita dalle stesse famiglie.
 Ci sono tanti di questi esempi in giro per l'Italia e a nessuno verrebbe in mente di chiudere le case private dove abitano cittadini liberi, pur con delle difficoltà!
 Queste donne e questi uomini, che avevano ripreso a codurre una vita normale, sono stati costretti a raccogliere le loro cose e andare dove non volevano andare: le strutture della ASL all'interno dell'ex ospedale psichiatrico. In quei luoghi si può condurre una vita normale? NO!
 Perchè non sono case, perchè non sono nel contesto urbano (come prevede anche la normativa sulla salute mentale), perchè vi è un concentrato di sofferenza visto l'alto numero di residenti, perchè la quotidianità è scandita dai ritmi e dalle modalità organizzative dell'istituzione.
 Noi siamo al fianco di queste donne e di questi uomini, e dei loro familiari, e auspichiamo che tutto si risolva nel più breve tempo possibile consentendo a queste persone di poter rientrare nelle loro case riprendendo quel percorso di vita drammaticamente interrotto. A questo tipo di percorso tendono le norme regionali e nazionali (ma anche le raccomandazioni dell'Europa e dell'O.M.S.). Ad un percorso orientato alla ripresa, alla guarigione, alla migliore vita possibile.

Cagliari 07.07.2011

La Presidente
Gisella Trincas

Lettera di Luigi Laisceddu, familiare

Sassari  7 luglio 2011

               Egregio Dottor Pittalis,
                                                    Le scrivo in riferimento a quanto accaduto ieri mattina presso la residenza di mio fratello Roberto, in via Nizza 29 a Sassari, per CHIEDERLE alcune precisazioni in qualità di psichiatra di riferimento del CSM che da oltre venti anni segue mio fratello, e pregarla inoltre di visitare con urgenza Roberto, in ricovero coatto presso la Comunità “Gli Ulivi” nell'ex ospedale psichiatrico di Rizzeddu, per stabilirne le attuali condizioni di salute e verificare eventuali aggravamenti e shock subiti. Le chiedo cortesemente di indicarmi quali provvedimenti siano indispensabili in questa situazione per evitare che vengano vanificati i risultati di recupero  del suo equilibrio psicofisico, raggiunti recentemente.
         Innanzi tutto vorrei esporre brevemente i fatti a cui ho assistito personalmente, astenendomi da commenti e considerazioni personali che mi riservo di esprimere nel nostro prossimo incontro.
         Ieri mattina, il 6 luglio 2011, intorno alle ore 9, ho ricevuto una chiamata sul mio telefono cellulare da parte del maresciallo Balletto del NAS - Carabinieri di Sassari, che mi chiedeva di recarmi con urgenza in via Nizza 29 perché,  in seguito a un'ordinanza della Procura della Repubblica, dovevano eseguire l'immediato  sequestro dell'appartamento. Questo provvedimento ha costretto  Roberto e gli altri inquilini a subire l'immediata  sistemazione  in altre sedi.
         Al mio arrivo la porta dell'appartamento era spalancata e all'interno erano presenti sette Carabinieri dei NAS in borghese, la presidente della cooperativa Pitzinnos e vari operatori della stessa, più altre persone sconosciute che si muovevano all'interno della casa, spostando sacchetti di plastica e borse con effetti personali degli inquilini, creando un ulteriore stato di agitazione e confusione generale.
         Mi sono presentato al luogotenente Gavino Soggia, comandante della sezione di Sassari dei NAS – Carabinieri, che, oltre a confermarmi l'attuazione del sequestro preventivo disposto dalla Procura, mi ha dichiarato di non essere autorizzato a fornirmi alcuna informazione, in considerazione anche del fatto che non era Roberto l'oggetto del provvedimento.
Ho chiesto chi, in questo contesto, si assumesse, dal punto di vista sanitario, la responsabilità del trasferimento di persone  già disagiate a cui si stava stravolgendo la quotidianità.
         Il luogotenente Soggia mi ha indicato un signore che si è qualificato come coordinatore del Dipartimento di Salute Mentale presentandosi col titolo di psichiatra: il dottor Vito La Spina.  A lui ho chiesto che intenzioni avesse riguardo a mio fratello e mi ha risposto che era presente in qualità di consulente della procura per garantire assistenza a delle persone disagiate. Ha precisato, inoltre, che la casa affittata da mio fratello e da altri quattro suoi conoscenti affetti da differenti patologie, è stata considerata dalla Procura una struttura sanitaria abusiva; perciò, se noi parenti non fossimo stati in grado di accogliere in casa i nostri congiunti, lui avrebbe provveduto a ricoverarli presso delle comunità socio assistenziali protette, nello specifico presso la comunità “Gli Ulivi”, sita nel complesso di Rizzeddu (ex manicomio). Ho contestato che l'equipe di medici che da anni segue Roberto ha sempre sconsigliato di farlo convivere con gli anziani genitori perché questo tipo di stretto contatto quotidiano acuisce la patologia da cui è affetto Roberto. Ho anche chiesto al dottor La Spina se fosse al corrente del quadro clinico di mio fratello e dei progressi ottenuti recentemente in merito al suo equilibrio psicofisico e al suo reinserimento sociale. La risposta è stata: “Guardi, io ho saputo come lei stamattina di questo blitz e sono qui per cercare di aiutare queste persone e disporre il loro trasferimento”. Ho ribadito che la soluzione che mi stava proponendo era già stata considerata in passato e scartata da Roberto stesso, dai medici che lo seguono e da noi familiari in quanto ritenuta non idonea né utile  al recupero di Roberto. Gli  ho chiesto inoltre se avesse domandato a Roberto se fosse contento di spostarsi ora dalla sua casa e gli avesse spiegato cosa stava succedendo. La risposta è stata che questo non rientrava nelle sue attuali competenze.
         Non mi soffermo sulle altre affermazioni che ho sentito personalmente pronunciare al dottor La Spina parlando con altri parenti, tipo:” Stiamo provvedendo a chiudere definitivamente la struttura di Rizzeddu (come, state per chiuderla e ci ricoverate delle persone???? Mi scusi, ma non son riuscito a trattenere questo pensiero), così come mi riservo di offrire una dettagliata testimonianza del fatto a cui ho assistito  a lei e ad altri in  sedi e contesti opportuni.  Aggiungo solo che sono stato testimone di stati di alterazione e delirio da parte di Roberto e almeno di altri due inquilini della casa, una condizione che Roberto non manifestava da oltre 1 anno.
         Dopo che un operatore della comunità ha accompagnato in auto mio fratello, che ha potuto portare con sé  solo alcuni effetti personali, mi sono recato anche io a Rizzeddu. Non credo che debba raccontare cosa succede in queste comunità definite protette, Lei le conosce molto meglio di me, ma a vantaggio di altri che ci leggono in copia Le dirò solo che ho visto personalmente un uomo completamente nudo, sdraiato nel corridoio attiguo alla stanza destinata a mio fratello, circondato da fazzoletti di carta e altri residui non meglio identificati. I corridoi e i due piani della struttura che ho attraversato sono pieni di cicche di sigaretta e di varia biancheria interna sporca, abbandonata per terra. I pazienti fumano dentro il caseggiato e nelle camere senza che nessuno li riprenda. Appena arrivato sono stato assillato da pazienti che mi seguivano, presentandomi ossessivamente svariate richieste finché il personale della struttura non è intervenuto allontanandoli fisicamente.
        Il personale presente in questa occasione, cioè un'infermiera, due educatori e un operatore socio-assistenziale, hanno cercato di rassicurarmi affermando che operano in una struttura assistenziale “regolare”, diretta dal dott. La Spina, e mi hanno chiesto di fornirgli le cartelle cliniche  e le informazioni sulle problematiche di mio fratello. Questo conferma che il personale della struttura in cui è stato trasferito Roberto era all'oscuro delle sue condizioni e, di conseguenza, non preparato ad accogliere un paziente con una patologia psichiatrica importante e con problematiche di riabilitazione fisica in corso.

         Roberto mi ha chiesto: “Cosa ho fatto? Perché mi hanno portato qui?”
         Prima di salutarlo mi ha pregato di non abbandonarlo!

         Le domande che intendo rivolgerLe sono due:
1. Lei, in qualità di specialista che segue Roberto dal 1991 anche con responsabilità istituzionali è stato informato di quanto stava per accadere?
2. Considerando che una equipe di specialisti di cui fa parte anche Lei e noi parenti abbiamo impiegato oltre sei mesi per trovare una soluzione appropriata al recupero psicofisico e al reinserimento sociale di Roberto, specialmente dopo l'ictus che l'ha colpito nel maggio del 2010, aggravando ulteriormente la sua condizione di salute, sopratutto consultando lui e ottenendo la sua totale approvazione, è possibile, secondo Lei, che qualcuno abbia il diritto e il potere di decidere, in appena due ore, di cambiare le nostre scelte senza consultarci, darci spiegazioni o lasciarci la possibilità, anche in termini di tempo, di contestare e valutare soluzioni differenti, ma sopratutto lo faccia senza consultare e informare Roberto e, ancora più grave, senza considerare affatto il suo quadro clinico?
Non mi riferisco all'aspetto giuridico della vicenda, ma al suo risvolto sanitario.
Se esiste un responsabile, Lei sa chi sia e sulla base di quale disposizione e nell'interesse di chi stia operando?
         Io non riesco a vedere i vantaggi di questo intervento dal momento che mio fratello stava bene, stava progredendo, economicamente era a sue e nostre spese, mentre ora sta male, grava sulla sanità pubblica e il suo stato di salute generale regredisce palesemente. 
Come avrà potuto notare, ho inviato copia della presente a:
- il dottor Ulrich Happe, ortopedico e fisiatra, primario della clinica di riabilitazione “Klinik Dreizehnlinden” di Bad Driburg, in Germania, che Lei ha conosciuto in occasione del consulto svoltosi nel settembre 2010 presso la Fondazione San Giovanni Battista di Ploaghe, dove Roberto era ricoverato in seguito all'Ictus che l'aveva colpito nel maggio dello stesso anno. Come ricorderà questa riunione era stata convocata dal dottor Gildo Motroni, responsabile sanitario del reparto di riabilitazione della Fondazione, affiancato dalla dott.ssa Rosellina Ponti, psicologa, e dalla psichiatra della stessa Fondazione.         Partecipavano all'incontro la dott.ssa Lidia Cosentino, assistente sociale dei Servizi Sociali del Comune di Sassari, inviata in rappresentanza del Comune direttamente dal sindaco di Sassari, in risposta a una relazione spedita per raccomandata dal dottor Motroni allo stesso sindaco, nella quale si chiedeva al Comune d'intervenire per individuare un luogo idoneo a consentire la prosecuzione del percorso riabilitativo intrapreso da Roberto. Ovviamente era stato invitato Lei in doppia veste di specialista del CSM che ha in carico Roberto e per fornire una valutazione tecnica per conto del U.V.T. di Sassari. In questa stessa occasione eravamo stati convocati noi familiari che, coadiuvati dalla consulenza del dottor Happe, il quale si stava interessando con altri del recupero psicofisico post traumatico di mio fratello, abbiamo partecipato e deciso, insieme a Roberto, di aderire al progetto Gruppo di Convivenza che si stava attuando in via Nizza con persone che Roberto già conosceva.
Le ricordo anche che la decisione di Roberto di occupare stabilmente una camera della stessa casa e di trasferire li la sua residenza è avvenuta solo dopo diverse settimane di incontri e di sperimentazioni col pieno accordo di Roberto e degli altri inquilini il 5 novembre 2010.
- Maria Laura Laisceddu, terapista della riabilitazione in una clinica tedesca e mia sorella, che segue Roberto attuando un programma di recupero fisico e che, informata di quanto accaduto, ci raggiungerà, via aereo, appena libera dagli impegni professionali.
- la prof.ssa Maria Grazia Giannichedda e il dottor Daniele Pulino della Fondazione Basaglia.
- la Signora Gisella Trincas dell'Associazione UNASAM e ASARP
- il signor Armando Branca dell'Associazione ASARP.
         Questi ultimi li ho incontrati in seguito a quanto accaduto e li sto informando perché sono convinto che la vicenda sconfini dall'ambito personale o familiare e sia un caso sociale che interessa nello specifico le organizzazioni che rappresentano.
         In conclusione, nel rispetto e nella correttezza reciproca che hanno finora caratterizzato il nostro rapporto, Le comunico che ho intenzione di divulgare i contenuti di questa lettera  anche in altri contesti, con lo scopo di tutelare i diritti di Roberto che ritengo gravemente offesi.
Con rinnovata stima , La saluto cordialmente
        
                                                                           Luigi Laisceddu

COMITATO A CASA MIA Per il diritto all'abitare. Per servizi di salute mentale che valorizzino la dignità e le risorse personali degli utenti. Per politiche sanitarie e sociali che sostengano la vita autonoma delle persone sofferenti, anziane, disabili

Mercoledì 6 luglio, a Sassari, i carabinieri dei N.A.S. sono arrivati alle otto del mattino nei due
appartamenti in cui vivevano cinque donne e quattro uomini con disturbo mentale e li hanno trasferiti, loro malgrado, in strutture sanitarie della ASL che si trovano all'interno dell'ex ospedale psichiatrico di Rizzeddu. Queste persone erano regolarmente seguite dal centro di salute mentale, che aveva sostenuto questo loro percorso di vita autonoma, ed erano assistiti, nella loro quotidianità, da una cooperativa sociale. Il contratto di affitto delle due abitazioni era stato stipulato dalle persone che vi hanno abitato per oltre un anno fino a qualche giorno fa, in accordo con i loro familiari e con gli amministratori di sostegno, che ne avevano informato il giudice tutelare. Anche l'affitto e l'assistenza sono stati pagati da questi cittadini che si erano organizzati in convivenza, mentre oggi è il Servizio Sanitario Nazionale che paga la loro custodia. Il magistrato ha disposto lo sgombero degli appartamenti sulla base di due elementi. Il primo è che la cooperativa titolare del contratto di assistenza fosse anche titolare del contratto di affitto, il che non è vero, come si può facilmente verificare. Il secondo elemento è di natura più valutativa, e consiste nel presupposto che le persone che soffrono di disturbi mentali possano vivere solamente in due situazioni: o in famiglia oppure in una struttura organizzata e gestita come tale. E poiché i due appartamenti non erano riconosciuti come strutture, il magistrato ha concluso che non potevano che essere strutture abusive.
Questa valutazione non tiene conto di alcuni fatti. Il primo: da tempo, in Italia e non solo, in salute mentale come anche nel campo dell’assistenza agli anziani e alle persone disabili, si sperimentano quelle che vengono chiamate “convivenze assistite”, in cui il servizio pubblico agisce da promotore e garante di progetti di vita autonoma con l’apporto di personale di assistenza. Questi progetti spesso non hanno vita facile, in salute mentale in particolare, dato che parte degli psichiatri stenta a uscire dall’orizzonte del manicomio e non è capace di costruire, o attivamente ostacola, percorsi di uscita dalla dipendenza, dall’invalidità, dall’esclusione. Questa lotta tra visioni diverse del disturbo mentale, della cura, dell’organizzazione dei servizi e delle politiche di salute mentale si svolge da più di quarant’anni sia in Italia che in Europa e in gran parte dei paesi democratici. Nessuna meraviglia quindi che si svolga anche a Sassari, e lo sgombero di qualche giorno fa ne è in fondo un episodio, peraltro emblematico: persone che avevano iniziato un percorso di autonomia e di inclusione sono state tolte dalla propria casa e riportate nell’area dell’ex manicomio, in strutture che ne riproducono i caratteri.
Infine: nella nostra Regione e nella nostra città le politiche sanitarie e sociali attraversano una fase di forte arretramento, che colpisce in modo particolare il campo della salute mentale: nei servizi di diagnosi e cura tornano gli interventi di contenzione fisica dei ricoverati e di abuso di farmaci, si continua a destinare ingenti risorse per ricoveri senza speranza nelle cliniche private e negli istituti assistenziali, il lavoro dei servizi territoriali è sempre più in difficoltà.
Il comitato al quale aderiscono associazioni e persone, nasce per opporsi allo sgombero del 6 luglio, per stare vicino a quanti sono stati privati della propria casa con pesanti ricadute sulla loro condizione personale e mentale, per sostenere gli operatori della cooperativa e quelli del centro di salute mentale che hanno lavorato alla costruzione del progetto di convivenza che vorremmo riprendesse al più presto il suo percorso. Ma il Comitato vuole anche aprire in città e in Regione un dibattito su tutto ciò che sta intorno alla questione dell’abitare delle persone con sofferenza mentale, delle persone anziane e con disabilità, attorno ai costi economici e sociali dell’istituzionalizzazione, e agli spazi che invece sono possibili di vita, socialità, dignità, diritti.

Sassari, 13 Luglio 2011

ADESIONI (al 26 luglio 2011):

1.      A.B.C. Sardegna
2.      Arci, Comitato provinciale di Sassari
3.      ASARP - Ass. Sarda per l'Attuazione della Riforma Psichiatrica
4.      Ass. Como Cheria
5.      Ass. Enrico Berlinguer Sassari
6.      Ass. Luigi Pintor
7.      Ass. 180 Amici l’Aquila
8.      Ass. Turritana 52
9.      Ass. Vivere Insieme
10.    Ass. Vivere Onlus
11.    Banca Popolare Etica - Sardegna
12.    Fondazione Franca e Franco Basaglia
13.    Forum Sardo Salute Mentale
14.    Forum Salute Mentale nazionale
15.    Il Labirinto - Ass. per la tutela malattie mentali
16.    Libera Università dei Genitori
17.    MOS - Movimento Omosessuale Sardo
18.    Noi Donne 2005
19.    Coop. Soc. Pitzinnos
20.    Società Internazionale di Psicologia Giuridica
21.    UILDM Sassari - Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare
22.    UFHa - Unione Famiglie Handicappati 
23.    UNASAM - Unione delle associazioni per la salute mentale
24.    URASaM Friuli Venezia Giulia – Unione Regionale delle Associazioni per la Salute Mentale della Regione Autonoma FVG
25.    URASaM Lombardia – Unione Regionale delle Associazioni per la Salute Mentale della Regione Lombardia
26.    Luigi Laisceddu – familiare
27.    Lidia Scano - familiare
28.    Daniele Pulino - Dottorando Università di Sassari
29.    Federico Zappino - Dottorando Università di Sassari
30.    Antonio Sini - Fotografo
31.    Antonello Sechi
32.    Giampaolo Mameli - Consigliere comunale Sassari
33.    Maria Grazia Giannichedda - Università di Sassari
34.    Alessando Montisci - Dirigente Psichiatra ASL n. 8  Cagliari
35.    Carlo Usai - Banca Etica Sassari
36.    Sergio Scavio - Consigliere comunale Sassari
37.    Isidoro Aiello -  Consigliere comunale Sassari
38.    Esmeralda Ughi - Consigliere comunale Sassari
39.    Anna Laura Pirisi - Fondazione Basaglia
40.    Angelo Vargiu – Laborintus
41.    Antonietta Mazzette - Università di Sassari
42.    Romina Deriu - Università di Sassari
43.    Luigi Bua - Università di Sassari
44.    Fausto Telleri - Università di Sassari
45.    Carlo Mura - coordinamento Asarp
46.    Antonello Manca - vice direttore Caritas Sassari
47.    Gianni Manca
48.    Antonio Mannu - fotografo
49.    Gisella Trincas – presidente Asarp
50.    Salvatore Lupinu – Dottorando Università di Sassari
51.    Stefania Porcu - Dottorando Università di Sassari
52.    Marcella Sechi - Dottorando Università di Sassari
53.    Luisa Ara - Dottoranda Università di Sassari
54.    Giovanni Salis
55.    Maria Cristina Falchi
56.    Claudia Cherchi
57.    Leonardo Boscani
58.    Lina Ciampitti
59.    Simone Campus - Consigliere comunale Sassari
60.    Gregorio Salis - Psicologo
61.    Maddalena Guisu
62.    Chiara Veronese
63.    Elisabetta Boglioli
64.    Manuel Attanasio
65.    Alessandra Pigliaru
66.    Vittorio Vargiu
67.    Claudia Cherchi
68.    Stefania Frongia - Dottoranda Università di Sassari
69.    Gisella Foddai
70.    Laura Paoni
71.    Giovannangela Pes
72.    Maria Elena Lentinu
73.    Camillo Tidore - Università di Sassari
74.    Alberto Valenti
75.    Paolo Madeddu
76.    Sara Stangoni
77.    Francesca Arcadu
78.    Tamara Collu - Psicologa
79.    Gianfranca Orunesu
80.    Stefania Piredda
81.    Daniele Sotgia
82.    Claudia Cherchi
83.    Valentina Angius
84.    Antonio Bassu
85.    Silvia Pilia
86.    Alessandro Sanna
87.    Giusy Calia
88.    Cristina Sanna
89.    Antonio Bassu
90.    Valeria Bono
91.    Natalia Tedde
92.    Amantia Martinelli
93.    Salvatore Palita
94.    Sergio Pilia
95.    Caterina Corbascio – Direttore ASL AT
96.    Grazia Brundu
97.    Angela Vistarchi - docente
98.    Patrizia Patrizi – Ordinaria di psicologia Sociale e Giuridica - Università di Sassari
99.    Franca Puggioni
100.  Don Gavino Sini – Direttore Pastorale del Lavoro Sassari
101.  Don Felix Mahoungou – Direttore Pastorale Giovanile Sassari
102.  Diana Pudda
103.  Laura Mureddu
104.  Assunta Orritos – Psicologa
105.  Paola Placido
106.  Cesare Picco – Psichiatra, Torino
107.  Roberto Pezzano
108.  Ernesto Muggia
109.  Edoardo Tedde
110.  Vittoria Casu
111.  Scilla Mastrandrea
112.  Andrea Arru – imprenditore
113.  Manuella Enna – educatrice
114.  Luigi Arru – medico
115.  Elena Palmas – impiegata
116.  Maria Antonietta Solinas – insegnante
117.  Marina Casu – docente
118.  Paola Di Renzo -  imprenditrice
119.  Daniela Dore – commerciante
120.  Diana Porcu – impiegata
121.  Caterina Pischedda – medico
122.  Luana Farina – funzionaria regionale
123.  Salvatore Palita – grafico
124.  Maria Palmas – capo reparto
125.  Paola Contini – medico
126.  Carla Contini – impiegata
127.  Maria Antonietta Sanna – impiegata
128.  Carlo Lanza – Avvocato
129.  Marco Scanu – commercialista
130.  Giuseppe Pulina – professore universitario
131.  Maria Loi – pensionata
132.  Giuliano Pulina – Pensionato
133.  Cristiana Patta – veterinaria
134.  Nicola Macciotta – professore universitario
135.  Roberto Rubattu – impiegato
136.  Anna Nudda – ricercatrice
137.  Salvatore Rassu – professore universitario
138.  Emilio Usai – Impiegato
139.  Gavino Biddau – Impiegato
140.  Rita Marras – docente
141.  Graziella Furriolu – collaboratrice domestica
142.  Giuseppe Schianchi – veterinario
143.  Edoardo Marongiu – veterinario (dirigente servizio sanitario)
144.  Simonetta Cherchi  - veterinario (dirigente servizio sanitario)
145.  Valeria Fadda – impiegata
146.  Mirella Mura – impiegata
147.  Rita Delogu – Assistente sanitaria
148.  Marianna Sussarello – impiegata
149.  Maria Giovanna Solinas – impiegata
150.  Aleyandra Gomez – Impiegata
151.  Daniela Cariccia – Impiegata
152.  Patrizia Sanna – Impiegata
153.  Daniela Ruiu
154.  Maria Vittoria Sgarella
155.  Silvia Tilocca – Impiegata
156.  Gianfranco Ganadu – impiegato
157.  Pasqua Serafina Falchi – impiegata
158.  Paola Deffenu – Impiegata
159.  Barbara Mulas – Impiegata
160.  Claudia Mannu – Impiegata
161.  Alessandra Pintus – Impiegata
162.  Paola Polo  - Impiegata
163.  Lucia Correddu – Impiegata
164.  Angela Macciotta – Impiegata
165.  Daniela Fadda – Impiegata
166.  Mattea Polo – Impiegata
167.  Cristina Pischedda -  Impiegata
168.  Laura Farris – Impiegata
169.  Davide Piredda – impiegato
170.  Carlo Muzzu – Agente di commercio