martedì 26 luglio 2011

Nove persone seguite dai servizi di salute mentale sgomberate dalle loro case. Le prime vittime di un’inchiesta che suscita perplessità e proteste (La Nuova Sardegna, 20 luglio 2011)

“Ma cosa ho fatto? – continua a chiedere angosciato Roberto - Perché mi hanno portato qui?” Roberto è una delle nove persone che i servizi di  salute mentale seguono da anni e che, mercoledì scorso, hanno subito lo sgombero delle loro abitazioni e sono stati trasferiti, loro malgrado, in strutture chiuse nell’area dell’ex manicomio di  Rizzeddu, vittime prime e certe di un’inchiesta giudiziaria che sta suscitando in città perplessità e proteste. L’indagine ruota intorno a due appartamenti il cui contratto di affitto è stato stipulato, oltre un anno fa, dalle persone che erano andate ad abitarvi, le quali soffrono di disturbi mentali e seguono un percorso di riabilitazione di cui fa parte anche l’abitare in una casa propria e pagare, con propri soldi, le spese quotidiane e l’assistenza di una cooperativa. Il tutto in accordo con il Centro di salute mentale, con i familiari, gli amministratori di sostegno e il giudice tutelare. L’indagine ipotizza che questi appartamenti fossero strutture sanitarie abusive, e questo sulla base di un errore ( la cooperativa non è titolare del contratto di affitto, come sembra dall’ordine di sequestro ) e di un pre-giudizio. Si desume infatti che gli appartamenti siano strutture dal puro e semplice fatto che ci vivono persone in trattamento psichiatrico, che sono automaticamente “pazienti” di una “struttura di ricovero”, nella quale il personale “addetto al controllo” dovrebbe “avere il titolo di infermiere professionale”. Si ignora che si può non essere malati di mente per sempre e non allo stesso modo, e che da molto tempo esistono modi diversi dal ricovero per prendersi cura delle persone con disturbi mentali.
Eppure non da oggi funzionano, in Italia ma non solo, in salute mentale come nell’assistenza agli anziani e alle persone disabili, le “convivenze assistite”,  in cui il servizio pubblico agisce da promotore e garante di progetti di vita autonoma con il sostegno di operatori. Queste convivenze tuttavia non hanno vita facile, in salute mentale in particolare: una parte degli psichiatri stenta infatti a uscire dall’orizzonte del manicomio e non è capace di costruire, e talvolta ostacola, percorsi di uscita dalla dipendenza, dall’invalidità, dall’esclusione. Questa lotta tra visioni diverse del disturbo mentale, della cura e dell’organizzazione dei servizi si svolge da più di quarant’anni in Italia, in Europa e in gran parte dei paesi democratici. Si svolge anche a Sassari, e lo sgombero di qualche giorno fa ne è in fondo un episodio, peraltro emblematico: persone che avevano iniziato un percorso di autonomia e di inclusione, e che si mantenevano con proprie risorse, sono state riportate nell’area dell’ex manicomio, in strutture che ne riproducono i caratteri e che gravano sui soldi pubblici. Certo, è un’inchieste giudiziaria che ha provocato tutto questo ma il mondo della psichiatria locale non è innocente. C’è un arretramento forte, nella nostra città e in regione, delle politiche sociali e di salute mentale: il lavoro dei servizi territoriali è impoverito e contrastato, riprendono forza la contenzione fisica dei ricoverati e l’abuso di farmaci, si continua a destinare ingenti risorse per ricoveri senza speranza nelle cliniche private e in piccoli contenitori assistenziali, in barba al Piano Sanitario Regionale tutt’ora in vigore. Per questo è importante partire dallo sgombero dell’altro giorno  per ridiscutere la questione dell’abitare delle persone con sofferenza mentale, delle persone anziane e con disabilità, per ridiscutere sui costi economici e sociali dell’istituzionalizzazione, e sugli spazi che invece sono possibili di vita, socialità, dignità, diritti.

(Maria Grazia Giannichedda)

1 commento:

  1. Come sempre il nuovo, l' innovazione nel Sociale, l' applicazione di nuovi metodi utili ad alleviare il disagio, sia esso psichico che economico, spaventa. Sono solidale e vicino al Comitato.

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